giovedì 20 febbraio 2014

Lei



Lei,
ha iniziato il suo cammino
chissà quando.

Lei,
ha sofferto, viaggiato,
cercato chissà quanto.

Lei,
voleva liberare se stessa
ed il suo canto.

Lei,
non poteva accontentarsi
di una parte soltanto.

Lei,
ha incontrato un bel giorno
il suo incanto.

Lei,
è fiorita e  nella gioia
ha dimenticato il pianto.


Pia - 2001

venerdì 7 febbraio 2014

Gianì de Fiandre


Erano passati un po’ di anni, ma nulla era cambiato. Spesso, nella vita, si vivono dei periodi di intensa frequentazione e poi ci si allontana: nel ritrovarsi e riprendere i contatti, la confidenza torna assolutamente spontanea come allora.
Gianì aveva sempre quel volto di un tempo, non aveva permesso agli anni di scalfirlo. Rosea, fanciullesca, umile, diversa da quel cliché del luogo di appartenenza, si muoveva con leggerezza, grazia e operosità al punto che, osservandola, sembrava di ascoltare una musica.
C’era una luce lieve ma calda, attorno a lei, che rendeva davvero gradita la sua immagine. Il suo mondo era pulito, organizzato, ordinato e fiorito. Nel suo incessante, ma leggero dinamismo, riusciva a tener dietro a tutto. Anche la sua abitazione, come la sua vita,  si articolava tra modernità e passato, che convivevano nella massima linearità. Era quasi impossibile immaginare tanta facilità a tenere assieme tanti tasselli di differente natura: nell’ambiente abitativo, l’impatto con il restauro offriva l’agiatezza di un vivere quotidiano e moderno che includeva, al tempo stesso, al suo interno, spazi ed anfratti del passato, come cantina, ripostigli, legnaia, lavanderia e cucina da lavoro, senza che intaccassero il «nuovo» e permettendo un’agevole possibilità di muoversi e operare in assoluta disinvoltura.
E Gianì de Fiandre si muoveva in quegli spazi come una melodia.
Anche dentro di lei la vita si svolgeva allo stesso modo. La sentivo attraversare il suo animo in preda alle più ripide paure e al tempo stesso alla tenacia di chi, comunque, non demorde. La sua leggerezza corporea conviveva con fardelli interiori di profondo travaglio, che tuttavia non intaccavano la sua reale natura. Era Gianì de Fiandre, sì “de Fiandre”, perché ricordava quelle donne del nord della Francia sempre immerse nelle loro vicende lavorative, familiari e di donne che non trovano mai tregua, ma che si esprimono con un ordine attorno a sé dotato della migliore grazia.
I fiori, i profumi, l’ordine, la pulizia, la gentilezza ne erano la dimostrazione: non erano molte le persone che sapevano rimandare tale immagine, ma lei sì. Era impossibile non volerle bene, impossibile non accogliere le sue preoccupazioni e offrirle tutto l’aiuto di cui aveva bisogno in quel momento; Gianì de Fiandre, quando si era sposata, aveva attorno al volto, legata sotto il mento, una coroncina di fiori che non mentiva sulla natura della sua anima.
La sua vita poteva essere sembrata facile, ma non lo era stata per niente. Per molte donne, prima del matrimonio, il tempo era trascorso in tribolazione, ma per lei fu il contrario: il rapporto col padre non fu del tipo “conflittuale” e gli anni più difficili le si presentarono dopo.
La costruzione della sua vita, della sua famiglia sembravano fossero state una passeggiata se guardavo inconsapevole al presente, ma sapevo invece quale corsa ad ostacoli Gianì aveva dovuto affrontare.
E proprio per il peso, le ansie, la quantità di difficoltà, le fatiche, le incomprensioni, le stanchezze, le paure, i drammi che Gianì de Fiandre aveva portato su di sé, mi sorgeva spontaneo pensare che ci dovesse essere una forma di espiazione che permetteva agli esseri umani di illuminarsi, essendo capaci di così tanta sopportazione al fine di perseverare per il bene altrui. Soltanto la presenza di una luce interiore poteva sostenere e dare forza in tutti quei momenti che le erano stati davvero insopportabili e di grande sofferenza e che lei tuttavia aveva superato soprattutto senza ammalarsi.
Aveva cercato anche la fede, con tanta forza, quando aveva sentito di non farcela proprio più, aveva pregato devotamente tanto e ne aveva ricevuto beneficio. Ma c’era anche una parte di lei che sprofondava spesso nella disperazione e sfogava nella rabbia, nella bestemmia quasi a cercare uno sfogo liberatorio dai demoniaci momenti in cui la vita la ricacciava.
Io la capivo. Ci assomigliavamo; lei, però, era migliore. Sentivo qual era la forza del suo animo, era la stessa che nutrivo anch’io, era la forza dell’amore, quell’amore che si deve misurare con ogni difficoltà, con ogni fatica, a volte dura e cieca, che non lascia un minimo di spazio ai «perché» e che troppo spesso non riesce a trovare un minimo di ragionevolezza in ciò che accade. E di fronte a quel piegarsi agli eventi e alla sofferenza, tornava la rabbia di dissacrare il tutto, di indemoniarsi dentro e fuori per ritrovare quell’autentica forza nell’amore e vincere la battaglia e regalare al mondo tutta la bellezza possibile.
L’avevo ritrovata intatta, a distanza di anni, rispetto alla sua vera natura. Incontaminata. Migliore. Bella.
Mi aveva ridato la forza di accedere a quella dimensione che non tutti mi permettono di condividere, perché Gianì de Fiandre era unica.
Ero anche andata a salutare sua nipote che lavorava in un ristorante «in» in uno sperduto paesino dell’entroterra ligure. Ero seduta sulla scala di una casa mentre le parlavo e la donna che ne uscì dalla porta, vedendomi di schiena, mi scambiò per la Gianì di quel paese. Si era scusata per essersi sbagliata, ma non potevo farle comprendere fino in fondo quale regalo mi avesse fatto di avermi chiamata con quel nome: e tutto accadde lo stesso giorno in cui mi ero recata, al mattino, nella bella casa ordinata, pulita e con tanti fiori attorno.
Ci sono cose nella vita che vanno oltre alla comprensione della ragione. Non hanno bisogno di spiegazioni, perché «sono» in quanto tali. E’ una fortuna, nella vita, poter incontrare anime in cui specchiarsi in maniera così chiara. Qualcuno li definisce livelli di santità, di purezza assoluta dell’anima, di complementarietà dell’anima. Forse non è neppure necessario affannarsi per cercare una definizione, è già tanto incontrare le persone con cui riuscire a viverle. Hanno del magico, del mistico, del folle, perché permettono di toccare con mano quella perfezione dell’essere a cui si aspira e che così raramente si raggiunge. Ma càpitano, per fortuna càpitano.
Con Gianì de Fiandre accadeva così ed io respiravo nella luce dell’anima sacri momenti di beatitudine e grazia.

Pia – 13 giugno 2010